Olena

Oggi la sveglia sembra esser suonata prima del previsto. Sono le 05:55. La luce stamani non filtra tra gli scuri della mia finestra. Il cielo insolitamente cupo di Napoli sembra volermi dire qualcosa, come a preannunciare una catastrofe. A Kharkiv saranno quasi le sette. La mamma sarà sicuramente sveglia; starà preparando i tipici syrniki alle mie sorelle più piccole per la colazione, prima di dirigersi al lavoro. Li preparava anche a me fino a qualche mese fa, fin quando un giorno colsi l’occasione di trasferirmi in Italia con alcune ragazze del mio stesso quartiere. Partimmo in autobus, eravamo in 20, tutte donne alla ricerca di fortuna, per noi e per le nostre famiglie. Certo, la lontananza si fa spesso sentire, ma io e la mamma ci teniamo spesso in contatto per telefono durante la giornata, ed amo farle dei piccoli regali ogni tanto, quando alla fine del mese le spedisco una parte dei miei risparmi ricavati dal mio piccolo negozietto di generi alimentari. É già passata mezz’ora dal suono della sveglia, ma stamattina c’è qualcosa che mi tiene incollata al cellulare più del solito, le notizie che compaiono sulla mia homepage di Instagram. Il nome del mio paese, l’Ucraina, affiancato da una parola che non avrei mai voluto leggere: “guerra”, o in altri post “attacco”, “invasione”, “bombardamenti” da parte della Russia di Putin, che da tempo programmava di sferrare una dura offensiva. Il mio primo pensiero va certamente alla mia famiglia. Mi risponde mamma, ma la sua voce sembra quasi soffocata da tante altre che si avvertono in sottofondo, che urlano di disperazione, di angoscia e paura. Tante sono state le esplosioni nella notte, dentro e fuori i centri abitati. I  russi hanno improvvisamente sconvolto la pace e la serenità di una popolazione incolpevole, che voleva semplicemente vivere la sua libertà ed autodeterminazione, raggiunta dopo decenni di assoggettamento. Lo stesso sentimento che mi aveva spinta a lasciare l’Ucraina in cerca di prospettive migliori, mi ha convinta a ritornare per mettere in salvo quelle del mio paese, per resistere in prima persona di fronte alla demolizione di ogni diritto inviolabile. Quel forte richiamo in me non si è mai spento, come un dovere da portare a compimento, un filo unico che lega il mio animo a quello dei miei connazionali che convivono ormai da giorni con la paura che la morte giunga loro da un momento all’altro e poco importa se dai carri armati o dai missili balistici. E’ allora che mi sono resa conto che la mia lontananza mi era intollerabile e che solo là, con la mia presenza e il mio contributo, sarei stata ancora un’ucraina. Tante come me hanno seguito il mio stesso richiamo, tante donne ucraine. Perché l’Ucraina è la nostra nazione, e non è solo un territorio ma è, innanzitutto,  condivisione di valori culturali e di ideali unitari;  è la dignità e l’anima del suo popolo  .

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